Le 3 domande chiave per portare la DE&I in pratica!
- sabrinafontanella9
- 15 set
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 29 set
Quando si parla di formazione diversità e inclusione, sembra che non manchi mai il materiale: checklist, linee guida, toolkit di “best practice”.Il problema? Molto spesso servono solo ad alimentare la sensazione di “abbiamo fatto qualcosa”, senza spostare di un millimetro la realtà quotidiana delle persone.
Se vuoi davvero capire a che punto sei, non ti serve un manuale di 100 pagine. Ti bastano tre domande. Sono domande scomode, ma proprio per questo funzionano: ti costringono a guardarti allo specchio e a portare le DE&I in pratica, non solo nelle parole.
1. Reagisci con la tua lente personale o cerchi di capire la realtà di chi vive il disagio?
Immagina che una persona ti racconti un episodio in cui si è sentita esclusa per una questione identitaria. La tua prima reazione qual è?
“Io al suo posto non ci avrei fatto caso”?
Oppure ti fermi ad ascoltare, cercando di entrare nel suo punto di vista, anche se lontano dal tuo vissuto?
👉 La differenza sta tutta qui: nel primo caso riduci l’esperienza al tuo filtro personale; nel secondo allarghi la prospettiva e inizi a praticare inclusione sul serio.
E non è un dettaglio da poco: imparare a sospendere il proprio giudizio significa sviluppare competenze trasversali fondamentali, come empatia e ascolto attivo. Sono le stesse competenze che fanno la differenza nella gestione del talento, perché permettono di valorizzare persone con background diversi senza appiattirle su un unico modello.
2. Cosa provi quando ti dicono che hai detto qualcosa di poco inclusivo?
Essere messi in discussione fa male all’ego. La difensiva è quasi automatica:
· “Non volevo offendere”,
· “Siamo troppo permalosi”,
· “Ai miei tempi ci si faceva meno problemi”.
Eppure, se invece provassi a spostare lo sguardo? La critica non è un’accusa, è un’occasione. Non significa “sei sbagliato”, ma “puoi crescere”.
👉 La reazione che scegli in quel momento fa la differenza tra perpetuare la rigidità e aprire la porta al cambiamento.
In termini aziendali, questa capacità di mettersi in discussione è ciò che alimenta una cultura di apprendimento continuo, indispensabile quando parliamo di formazione, diversità e inclusione. È un investimento che si riflette direttamente sulla capacità di trattenere e motivare i talenti.

3. Quando parli di un gruppo di persone, ti basi su stereotipi o analizzi il contesto?
Capita a tutti di generalizzare:
· “I giovani non hanno voglia di lavorare.”
· “Gli uomini non capiscono queste cose.”
· “Le donne tra loro non si supportano mai.”
Domanda: stai davvero osservando un comportamento, o stai riciclando un pregiudizio?
Quando inserisci il contesto socio-economico — generazione, territorio, ruolo in azienda — quelle etichette si sgonfiano. E allora emergono persone, non categorie.
👉 Per chi si occupa di gestione del talento, questo passaggio è vitale. Significa non fermarsi a stereotipi che bloccano la crescita, ma sviluppare strumenti per leggere le differenze come risorse e per creare team capaci di collaborare in modo più efficace.
Se hai provato disagio leggendo almeno una di queste tre domande… è il momento giusto per portare la DE&I in pratica
Complimenti. Hai trovato il punto preciso da cui partire per crescere. Perché la DE&I non è un esercizio di perfezione, né un obiettivo da raggiungere una volta per tutte. È una pratica quotidiana fatta di attenzione, errori, aggiustamenti e ascolto.
E soprattutto è un driver fondamentale per la gestione del talento e per lo sviluppo delle competenze trasversali che servono oggi alle aziende per rimanere competitive.
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